Gli autori delle stazioni

La qualità dell’intero progetto artistico è la sua libera articolazione sia stilistica che formale, all’interno di un carattere complessivo che è riuscito, senza nessun patto a priori, né previo accordo tra gli artisti coinvolti, a mantenersi solidale alle intenzioni espresse dal Comitato promotore: farne un percorso di “vita”. La vitalità del percorso creativo si nutre della convinzione di tutti coloro che vi hanno partecipato di esser parte di un tutto, di un’unica via che sale dalla chiesa nuova al luogo di una chiesa che non c’è più, una via di cuori semplici e schietti, un percorso impregnato di ricordi e di fatiche, di solidarietà, di smarrimento e gratitudine.
– Schede: riassunto tratto da “Un accompagnamento sul cammino della Via Crucis di Stella” di Serenella Castri (storica dell’arte)
Dal libro: La Via Crucis di Stella ed. 2011

1a stazione – Sergio Mazzola
Gesù  è condannato a morte

L’interpretazione che ne ha dato Sergio Mazzola è sconcertante, per chiarezza compositiva e pacatezza espressiva. Ormai la folla tumultuante ha urlato. Il braccio di Pilato, si alza verso Gesù, che emerge dall’ombra di una torre cilindrica, solo ed inerme. Il Suo gesto è chiaro: le braccia accennano ad allargarsi, le palme accolgono la sentenza senza replica. La torre dalle molte finestrelle, si apre tuttavia verso la sala giudiziaria, pronta a risucchiare Cristo nel suo spazio di prigionia.
Cento lance, all’altezza del viso di Gesù, lo minacciano. Come in una sacra rappresentazione, le teste vocianti della folla emergono da tre registri sovrapposti alle lance. Sono facce al posto di corpi, maschere deprivate d’anima.
L’artista è riuscito, con segni e mezzi di estrema compattezza a raggiungerci al cuore. La figura del Signore viene dalla tenebra in cui l’ha rinchiusa il potere e la sua avida natura. Abbiamo la possibilità di accogliere il Signore che viene, benché imprigionato dalle torri spiritualmente vuote, nelle nostre civiltà umane. Tutto lo respinge. Linee orizzontali (i registri delle immaginarie gradinate, le due file di lance, il braccio destro di Pilato) e linee a queste ortogonali (i volti che si sporgono, le punte delle lance) lo rigettano laddove egli era emerso per un ultimo tentativo. Il Calvario ha inizio.

2a stazione – Aldo Micco
Gesù è caricato della croce


Aldo Micco, anima di questo progetto, che ha messo a disposizione la sua perizia tecnica per trascrivere i bozzetti grafici degli artisti partecipanti al progetto di Stella, in rilievo plastico è autore del secondo pannello. Sull’oggetto Croce così elementare e terribile si è affissata l’attenzione dell’artista, che ha composto un’immagine in cui la tessitura cromatica, appare come una ricca veste per un messaggio visivo che ci avvince immediatamente. Le dimensioni della croce sono imponenti e la sua posizione si accampa su tutto il piano, spingendo in secondo piano un soldato romano e il suo cavallo. Come annota lo stesso Micco, il braccio orizzontale della croce punta sulla cima del monte fuori Gerusalemme dove i Romani solevano giustiziare i criminali o i nemici. La figura di Gesù ci è posta in un primo piano ravvicinato, come se noi fossimo parte degli astanti accorsi a seguirne il cammino ed egli ci passasse davanti quasi sfiorandoci con quel bianco ancora immacolato della tunica e con il rosso del manto postovi sopra. Per questo il nostro sguardo lo coglie mentre una luce illumina il suo capo cinto di spine, appena intravedibile al di là della croce. Chi è, Colui-che-porta-la-croce noi non lo sapremo. A noi, come alla folla curiosa ed eccitata di sangue che quel giorno lo seguiva, interessa solo vivere l’emozione forte di uno spettacolo crudele. Ecco perché, forse, non vediamo il volto di Gesù e perché, invece, quella sua croce risulta ai nostri occhi non solo enorme, ma anche “bella”, nel suo intreccio inestricabile di linee che si avvinghiano una all’altra senza soluzione di continuità. L’artista ci suggerisce di vedervi le incrostazioni che hanno finito per soffocare la nostra anima. Riconosciamo degne di attenzione le vie tortuose dell’Io, le complicazioni e inquinamenti del ragionare, le emozioni subdole, violente e abbiamo smarrito la via della spoliazione dall’orgoglio, dal narcisismo, dimentichiamo la necessità di morire a noi stessi in nome della purezza e del coraggio del cuore che si attiene solo alla nuova legge d’Amore.

3a stazione – Claudio Mario Feruglio
Gesù cade la prima volta

La Via Crucis ci dà qui una sferzata quasi dolorosa: pare indurci a proseguire questo percorso, a viverlo con responsabilità. La Terza Stazione, opera di Claudio Mario Feruglio, un maestro il cui lungo percorso creativo ha spesso regalato oasi di riflessione contemplativa. Nella sua interpretazione della Prima Caduta di Cristo, lascia invece gli slarghi dei suoi paesaggi spirituali, rivelati da accordi cromatici e dalla propria luce, ragioni stesse dell’evocazione, per richiamarsi a un narrare più asciutto e drammatico. L’interpretazione del bozzetto da parte di Micco ha reso d’altronde ancora più incisivo il segno grafico e interpretando con striature plastiche lasciate al grezzo, la figura caduta di Gesù. Il Suo volto affilato è segnato da un colore livido, mentre un rivolo di sangue fiotta dalla fronte e scende lungo la figura, ripido e spezzato. Un soldato, in piedi alle spalle della figura di Cristo, sta sollevando la croce dal suo braccio corto, mentre un uomo dalla veste corta, compie il medesimo gesto in secondo piano, con il braccio lungo. Accorsi a liberare Gesù dal peso di quel legno, non ne sono soccorritori, ma semplicemente esecutori di un gesto che implica nuova sofferenza, nuovi passi in salita verso il calvario. Essi liberano il Signore soltanto perché Egli consumi la Sua condanna. Nella solitudine di questo momento Feruglio ci mostra il Suo volto contratto dalla sofferenza, lo sguardo sbarrato e ci chiede di risvegliarci alla condivisione, alla responsabilità l’uno verso l’altro. Ci ricorda la meccanicità di milioni di gesti, scelte, assensi passivi che nella loro neutralità nascondono complicità e la scelta infernale dell’indifferenza e della connivenza. Il segno rosso che scende e si perde sulla Sua figura ci richiama come un grido del sangue che muore in silenzio, diventa impronta dei fratelli e sorelle lasciati morire o soffrire senza soccorso. Al Suo richiamo accorriamo, riscopriamo i doni della misericordia e della condivisione.

4a stazione – Bruno Paladin
Gesù incontra sua madre

S narra l’incontro di Gesù con Sua Madre. Autore è Bruno Paladin, noto artista istriano, dal talento e dal percorso poliedrico tanto quanto tecnicamente multiforme. É forse sorprendente trovare in questa interpretazione della stazione un segno sintetico, dai contorni forti e neri, campiture cromatiche piene – giocate sull’ocra, il nero luttuoso per Maria, il bianco accecante del Gesù/Luce del mondo – e sagome didascalicamente ridotte alla loro essenza comunicativa primaria. Tale immagine ricorda, si potrebbe dire, i dipinti dei Nabis, quando a Pont-Aven erano guidati da Émile Bernard. L’artista, insomma, appare essersi spogliato del suo stile personale, per indossare panni comunicativi più umili e diretti, lontani dalle serie di composizioni degli ultimi anni, che si dipanano su grumi o orditi di lettere di varia provenienza, scoordinate persino tra di loro e alienate dai loro contesti originari, frammenti di testi e pensieri di una civiltà disorientata, incapace di ascolto, oberata da eccesso di comunicazione. In esse è l’amalgama formale che l’artista imprime a renderci partecipi della volontà di riportarle ad un difficile dialogo con se stesse. Nella formella per Stella, Paladin ci conduce invece a rievocare in noi, nell’estrema simbolica semplicità della figurazione, lo struggimento toccante e intriso di silente tenerezza di Maria, che riesce per un attimo a farsi largo tra la folla, in ogni caso avida, oggi come ieri, di spettacoli degradanti, e a incontrare così lo sguardo del Figlio. E questo gesto fa sparire tutto attorno a entrambi; e questo guardarsi reciproco è dialogo d’anime, commiato terreno. Perfino la croce si trasforma in qualcosa di leggero, poiché il Figlio se ne sta dritto, intoccato dal dolore fisico. Rimane soltanto il centurione, all’estrema destra, a ricordarci del Calvario.

5a stazione – Antonio Crivellari
Gesù è aiutato da Simone di Cirene

La Quinta Stazione narra di come a Simone di Cirene venga imposto di aiutare Gesù a sostenere la croce sul tragitto verso il Golgota. L’interpretazione di Antonio Crivellari si iscrive con coerenza stilistica all’interno della cifra espressiva che l’artista sta sondando da parecchi anni e che lo ha portato ad indagare la forma in quanto intrisa, grondante parole. Le parole, prese da ogni lingua, o evocate come lettere, si inseriscono in forme (spesso) geometriche e strutturate con ragionata fermezza dall’artista in funzione evocativa, che costruisce così i suoi mandala solidi come architetture arcaiche, in cui le parole, i significati a volte ne sono epidermide metaforica, a volte refoli o potenti slanci poetici, a volte diagrammi simbolici, conduttori di messaggi segnici e semantici insieme. La sua interpretazione di questo quinto episodio è stata affrontata partendo da una sorta di portico dal quale l’osservatore riesce a bloccare l’istantanea di questo episodio della Passione. Con forme morbide, che avvolgono le due figure protagoniste divise dal braccio lungo della croce, e marcate da colori di chiara valenza simbolica. Simone ha il colore terra del sentiero del Calvario, quindi anche quello di questa Via Crucis. Attorno alle due sagome brilla un azzurro acceso, in cui le lettere chiariscono la stazione come quinta della Via Crucis. Con pulizia, Crivellari ripete, a mò di litania “bloccata” in una ripetizione il nome di “Iesus Christus” e del “Cireneo” sui due personaggi, così come l’acronimo “Inri” si rincorre lungo tutta la croce. Rimaniamo affissi all’immagine che ripete per noi parole: esse ci entrano dentro; tanto quanto il dramma attraverso di esse si propaga, e ci raggiunge in modo da darci una rinnovata possibilità di intervenire, ci permette di astenerci, e andare a sollevare chi è caduto, incamminandoci con lui verso la salvezza.

6a stazione – Pietro De Campo
La Veronica asciuga il volto a Gesù

Creazione personale del maestro Pietro De Campo che l’ha definita scavando con le proprie dita la materia plastica, affidata poi alle cure di Micco. Ne è sortita una composizione essenziale per una Via Crucis da lui stesso realizzata nel 2009, ma qui resa assolutamente tattile in virtù di quei suoi solchi (di dolore) dai bordi sbrecciati e raffermi. É un’immagine fortemente mossa e chiaroscurata, in cui tutto sembra palpitare, fino a produrre sommovimenti ‘tellurici’, che aggrumano le emozioni. La croce sta come cadendo dall’angolo di destra su un Cristo devastato nel viso cinto dall’aureola, la cui veste compie moti come gemiti. La Veronica è invece avvolta nella sua veste, come se da queste forme avvolgenti potesse venire un ristoro alla materia sconvolta dall’artista. Tra i due personaggi ecco stendersi il panno che Gesù ha già preso per potersi asciugare il volto.  É, ci sembra, l’unico “slargo” quasi quieto del rilievo. La pietà e la valenza inestimabile del sostegno reciproco e fraterno, tornano come fulcri meditativi della Stazione, e l’appello è raccolto per noi da una donna coraggiosa che ha saputo andare oltre i dettati della presunta giustizia umana, non combattendoli, ma umanissimamente accudendo, intervenendo tra le lacrime per asciugare quelle di Cristo. Così, tante donne sono Veroniche che continuano a curare parenti e sconosciuti, asciugano lacrime, vegliano caduti, sfidano le misere leggi create dai potenti della terra, facendosi custodi della fratellanza. Il loro vessillo è anche quel velo immacolato, che invece del volto torturato di un uomo, reca impresso, per contrappasso della Grazia, quello imperturbato del Signore, la cui legge d’Amore ha reso ogni altra legge foriera d’ingiustizia e violenza.

7a stazione – Gernot Schmerlaib
Gesù cade la seconda volta

Gernot Schmerlaib, pittore carinziano, presente a tutti gli importanti eventi culturali collegati ai progetti Alpe-Adria (in questo similmente ad altri colleghi contattati da Zanussi per la Via Crucis di Stella), sulla Seconda caduta di Gesù con una verve segnica applicata a masse di colore rosso vivo accorpato dal bianco della biacca, attorniate da un fondo che dal violaceo del bozzetto si è fatto blu/violetto nell’immagine finale. Pare di veder riecheggiate qui, più che procedure e modalità dell’espressionismo americano – del movimento, a cui egli, si ispira -, un fare tenuto a freno dall’esigenza narrativa della Via Crucis di Stella e dal desiderio di dare comunque testimonianza di una figura cristica a cui va la totale attenzione dell’artista. Gesù è pensato precipitare a testa in giù con un roveto di spine sanguinanti sul capo che sta per toccare terra, mentre le braccia si allargano e il corpo pare volare nell’aria, in un marasma di rosso e bianco attraversato da linee blu, che finiscono per scomporla in brandelli. La libertà compositiva, timbrica e astratta di Schmerlaib, viene chiamata ad un compito forse gravoso per chi ha scelto di confrontarsi con la vertigine spirituale dell’astrazione, ma è risolta con una concentrazione formale capace di entrare dentro la storia di quest’Uomo, caracollando in Lui e con Lui, fino a contrarre con violenza la stessa sostanza materica di cui ci si è voluti servire. E questo ci dice molto sull’artista che ama ricominciare sempre da zero per ogni nuova tela e che stupisce per il suo coraggioso rimettere in gioco “tutto”. Votato a una specie di corpo a corpo con la sua sete espressiva e con il divenire della vita, al quale sente di doversi arrendere, egli non teme i possibili momenti di caos, né le condizioni estreme alle quali far sottostare il suo stesso talento. É per questo che la sua formella può restringersi o dilatarsi al nostro sentire interiore: l’immagine è, infatti, lasciata libera di coinvolgersi nel suo stesso sillabare la Caduta, grazie all’oscillare tra astrazione e evocazione figurativa.

8a stazione – Dino Durigatto
Gesù Incontra le Donne Gerusalemme

L’opera di Dino Durigatto, a cui questo progetto per Stella deve molto, essendone stato una delle anime portanti. Ci accompagna verso un episodio poco sondato dalle riflessioni dei teologi, e in ombra rispetto alle altre stazioni. Molto originale è l’interpretazione che ne dà questo artista di finissima intelligenza, instancabile indagatore delle griglie filosofiche e delle credenze che condizionano, manipolano o elevano le società degli uomini. La sua convinzione che solo la Conoscenza possa sollevare l’umanità dalle spirali della violenza, centro vivo dell’esistenza, lo ha portato a ricamare di simboli, formule alchemiche, richiami esoterici alla sua composizione, che pur si offre al viandante della Via Crucis ricca di colori (scelta, condivisa insieme a Micco) e chiara nella narrazione. A sinistra, il corpo semisvestito di Gesù si staglia in un primo piano all’indirizzo delle donne che lo fronteggia sulla destra. In prima fila sorprende una donna riccamente abbigliata e portatrice di arcani significati; una giovane madre; una vedova; una devota avvolta in drappeggi, un agnello con il vessillo accucciato vicino ad un giglio. Oltre si apre uno slargo dove un giovane albero sta bruciando: è la raffigurazione del rimprovero che Gesù rivolge alle donne piangenti che lo seguivano sulla via, chiamandole a risvegliarsi, a comprendere la loro parte di responsabilità nell’educare gli inconsapevoli. Il giovane albero è solitario, al centro della piazza antistante le mura di una città oltre la quale si distendono catene di monti e un cielo blu abitato da misteriosi segni. La legna di un virgulto non è adatta a far buon fuoco. É un’azione sconsiderata. Con quanta superficialità queste madri abbandonano i figli al vuoto delle piazze, ai media, al subdolo potere manipolatorio? Le porte della città sono sorvegliate da guardie. Chissà se tale città è ricetto di conoscenza vera, quella che sana le ferite e affratella. Formule di scienze perdute o (ancora) incomprensibili ai più tappezzano il lato esterno delle mura, quasi manifesti delle fucine del sapere che vengono tenute sempre accese e la fanno apparire sicura. Tuttavia, essa appare come una roccaforte del sapere più alto, chiusa in se stessa, diffidente e armata contro chi volesse entrare senza invito. Il cammino di Cristo la lascia sullo sfondo di un percorso ancora lontano da esser compiuto dalle coscienze umane. Mentre l’albero che brucia, si fa metafora della cecità che sacrifica alla pigrizia spirituale e morale la fresca, nuova, giovane novella del Signore venuto sulla terra per annunciarcela.

9a stazione – Cesco Magnolato
Gesù cade per la Terza volta

Cesco Magnolato, uno dei più grandi maestri veneti, ha raccolto il tema della Nona Stazione e lo ha svolto personalmente fino alla realizzazione in ceramica. Ancora possiamo sorprenderci per la sua interpretazione, lontana (per esser figurativa, per non potersi e volersi appoggiare ai raffinati, conflittuali scambi cromatici) dalle sue creazioni recenti, ma coerente alla storia del suo percorso creativo. L’immagine è di grande impatto, e parla da sola. Il Cristo è raffigurato in primissimo piano mentre cade per la terza volta su una piattaforma che fa anche da confine tra l’osservatore e l’immagine sacra, stremato sotto il peso di una croce immane, che Simone di Cirene pare volere sollevare dietro di Lui. Il rilievo è stato lasciato al grezzo, con un colore biancastro che contribuisce ad intensificare la composizione, impostata su schemi angolari e sul precipitare in diagonale sul Cristo,  di una moltitudine di uomini e donne, che appaiono caracollare verso di Lui. Le croci, quelle che rifiutiamo di portare, ecco che si abbattono su di Lui e Cristo cade a causa nostra, incapaci di assumerci le responsabilità, incapaci di fare a meno di un capro espiatorio, incapaci di amare incondizionatamente, con coraggio, con leggerezza. L’immagine è drammatica, il tumulto assordante: scorgiamo la Madre, i soldati e gli sgherri che arrancano portando strumenti, scale per dar poi luogo alla crocifissione. Intuiamo il popolo e le sue voci, scherno, livore, angoscia. La spirale dell’umanità, bloccata dal legno possente della croce, lascia solo Gesù, dimensionalmente più grande del resto delle figurazioni, accasciato di fronte a noi. Fino a quando costringeremo Dio a morire per noi, al nostro posto? Eppure Egli lo ha insegnato: se non moriamo a noi stessi e ai nostri egoismi, non saremo nella pace e non creeremo la Nuova Terra. Dobbiamo ringraziare il Maestro per aver accettato di far parte del Cammino di Vita per Stella, e di averlo condiviso con gli altri, trovando nel suo vasto bagaglio di esperienze gli accenti migliori per inserirsi in questo progetto senza prevaricarlo con l’irrompervi della sua personalità.

10a stazione – Carlo Vidoni
Gesù è Spogliato delle Vesti

Ho avuto, come in altri felici casi, la fortuna di assistere alla genesi dell’opera di Carlo Vidoni, che ha da solo trasformato in opera plastica il proprio bozzetto pittorico. Il rovello dell’autore parlava del suo serio coinvolgimento in questo progetto, e del suo intimo mettersi in gioco a confronto con il tema che gli era stato assegnato: la Decima Stazione. Da tempo Vidoni non crea più servendosi del ‘semplice’ mezzo pittorico, ma si è indirizzato a interventi multimediale, a installazioni e rielaborazioni libere da convenzioni e di materiali fotografici. La rielaborazione del bozzetto ha ulteriormente affinato la tavola dandogli più drammaticità e incisività e lo ha arricchito di una squillante veste cromatica, da leggersi in funzione espressionista. Ci accostiamo così alla disputa sulla tunica della quale Gesù fu spogliato per esser crocifisso. Un episodio aberrante, che artisti di tutti i tempi hanno accolto nelle loro scene di Crocifissione, sul lato destro in basso, e che dava modo di ritrarre volti deformati dalla cieca brutalità. Vidoni ha scelto una sua interpretazione, invece, che si affissa non sul giocarsi ai dadi la veste da parte di tre soldati, ma invece sul momento umiliante del definitivo “spogliamento” di Gesù da tutto. É l’ultimo passo prima di incontrare la morte. Il suo corpo è atletico nella parte inferiore e invece nel torso, debilitato dai patimenti, ridotto all’osso, segnato dai flagelli e percosse. La testa mostra la corona di spine conficcata a forza, il volto è una maschera di dolore. Di fronte a lui due alti manichini disossati, due soldati senza connotazioni storiche precise gesticolano meccanici e senz’anima, tenendo la Sua tunica ad agitarsi in mezzo alla composizione. Ci sembra di rivedere una foto reportage da una qualche zolla del nostro pianeta dove sia in corso un conflitto armato e dove, oggi come ieri, vengono costantemente violati i più elementari diritti umani. Umiliati, torturati, privati della possibilità di difendersi: nel Gesù di Vidoni ritroviamo, ogni singolo uomo offeso e disprezzato dai suoi fratelli.

11a stazione – Toni Zanussi
Gesù è inchiodato in Croce

Tutti noi conosciamo la ricca produzione di Toni Zanussi, il suo impegno decennale per un’arte che sia testimonianza della volontà di pace e di fratellanza, che sia slancio verso l’incontro con il vivente e tuttavia chiara di morfologie e mondi che attorno al nostro piccolo pianeta ci dicono di dimensioni possibili, più aeree, libere. Anche nell’Undicesima Stazione il suo segno inconfondibile è messo al servizio di un’iconografia sacra riplasmata in modo da poter offrire a coloro che vorranno immergersi nel cammino spirituale di Stella un alito di speranza, oltre che una meditazione sulla Crocifissione. Gesù è infatti appeso per le braccia all’asse orizzontale della croce, che però ha perso quello verticale e adesso si libra nell’universo. Il suo corpo è martoriato, la corona pesa e preme sul capo, il panno bianco sostenuto sulla spalla sinistra svolazza nell’etere blu acceso. La croce non è più, dunque, piantata sul dosso del Golgota. Non è, questo sacrificio, un piccolo, orribile fatto terrestre. Esso si propaga al cosmo intero, si proietta al di là della Terra, dilaga e si imprime a tutto il creato. Un pianeta si fa strada o scompare sul lato sinistro della formella e uno degli uccelli/astronavi zanussiani dai colori rossi volteggia all’angolo opposto e che nella tenacia del volo indica la capacità di impennarsi e salire più in alto, sino alla vertigine che prende la storia quando è un Dio a raccoglierla, patirla, viverne l’agonia, morirne, trapassarla, come fa questo corpo del Gesù in croce. Non è un sogno, è una speranza vivida e ferma, come il monte di Stella, dove Toni Zanussi ha casa, atelier e dove dà ricetto a colleghi e uomini di buona volontà d’ogni genere e talento. Il suo ruolo nel progetto per Stella è stato fondamentale per chiamare a raccolta gli artisti, per far sì che essi si riconoscessero nel medesimo intento e che provenissero dal territorio dell’Alpe-Adria, che è cifra di riconoscimento storico di luoghi come il tarcentino.

12a stazione – Giordano Floreancig
Gesù muore per noi sulla croce

Giordano Floreancig ha portata dentro il proprio mondo espressivo la dodicesima Stazione. Gesù muore e nulla può rimanere come prima. La formella è vuota di tutto, se non di una testa, la Sua, e lascia emergere soltanto l’agghiacciata bicromia tra un bianco ingrigito e un nero pece. Il volto di un Christus dolorosus è degno delle più raccapriccianti iconografie del gotico germanico. É il volto di un uomo che ha attraversato tutto il dolore fisico e psichico. Il sangue cola dai capelli e dalla barba, gli occhi non hanno più sguardo, e la bocca è spalancata in un ultimo orribile urlo insopportabile. I solchi che feriscono il materiale plastico e ne definiscono le fattezze deformate di Gesù sono fitti, sottili, ripieni di nero. I denti messi in evidenza e distanziati tra di loro, parlano di ossa, di primitiva sostanza di un corpo, di processi ancora una volta fisici, brutalmente meccanici, nella costituzione di un corpo vivente e nella sua consunzione una volta morto. L’artista ha voluto raccogliere la morte del Dio nel suo momento più umano, quando la sostanza divina abbandona il corpo e l’abbandona al suo essere nuda materia inorridita dall’esperienza della morte. Non v’è riscatto qui, come nella maggior parte dei dipinti di Floreancig, che dicono l’umano nella sua solitudine (o vitalità) esistenziale e spesso nell’indifferenza degli altri. La Stazione ci ricorda che la materia, senza il soffio dello Spirito, è abbandonata a se stessa e perde la sua dignità. L’uomo, senza la consapevolezza del divino custodito in un qualche recesso di sé, diventa soltanto carne urlante, sottoposta alla cecità e alla violenza della “giustizia” degli uomini. Ma per alcuni attimi eterni Gesù provò su di sé questo assoluto umano, ed ecco qui la valenza meditativa più importante di questa formella.

13a stazione – Gea Tanja Rusjan
Gesù è deposto dalla croce          

Dalla Slovenia è giunta la ceramista e pittrice Gea Tanja Rusjan, che ha interpretato la Tredicesima Stazione. Il tema della Deposizione dalla croce si presta, più di altri, a svariate interpretazioni, ma di certo Rusjan lo ha ridotto alle poche “righe”, quelle non scritte nei Vangeli ma fondanti (come testimoniano le meditazioni ‘francescane’ di Jacopone da Todi) delle Laudi pasquali e delle Sacre rappresentazioni dal XIII in poi, che si soffermano sul dolore della Madre Maria, che riceve il corpo del Figlio e piange accorata, come una qualsiasi madre terrena, la morte ingiusta del frutto del proprio ventre. Il tema iconografico del Vesperbild viene completamente sussunto entro l’attuale mondo di forme e emozioni di questa artista, tant’è che ella ha eseguito la formella in completa indipendenza, senza esser coadiuvata da Micco, forte del suo ‘mestiere’ perfettamente padroneggiato. La cifra stilistica di Rusjan è stilizzante, asciutta, dedita alla perfezione del dettaglio, mentre il suo tema prediletto sono figure femminili. Le forme in cui le sue creature si manifestano sono chiuse in se stesse, create attraverso linee avvolgenti, continue, memori (soprattutto) della grafica floreale così come delle sperimentazioni picassiane del periodo provenzale e oltre. La bidimensionalità viene accentuata nella formella per Stella dalla scelta cromatica, che immerge gli incarnati di una giovanissima Madre dai folti capelli svolazzanti e del Figlio – accennato da un profilo come irrigidito dalla morte – in un campo cilestrino che tocca poi le gamme del blu tutt’attorno. In quest’atmosfera i segni potrebbero impennarsi verso dimensioni interiori, suggerirci un pendio di terra, coperto da una coltre di neve ingentilita dalla luce di una luna serotina, dal quale egli prende vita e vigore. Ogni inverno è una tappa ciclica nella quale la vita si esprime, la morte soltanto un passaggio e il pegno della vita che si è data fino a consumarsi e che rinascerà alle prime luci della primavera. Il blu allude spesso, nella simbologia cristiana, alla Sapienza divina ed al manto della Vergine. Il tema della Pietà è qui reinterpretato fino a dissolverlo: anche la morte è solo un passaggio a più evolute dimensioni dell’essere.

14a stazione – Roberto Milan
Gesù viene posto nel Sepolcro 

Con la Quattordicesima Stazione la Via Crucis si conclude. I pochi che hanno avuto il coraggio di esporsi alla folla e farsi riconoscere come seguaci di Cristo, le Marie (qui ridotte a tre) e Giovanni (non presente), sono stati raggiunti da Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Con amorevolezza, cura e singhiozzi celati il corpo già irrigidito di Gesù viene posto sul coperchio del sarcofago. L’autore della formella, Roberto Milan, che da sempre intaglia il legno, essendo figlio di artigiani. Naturale per lui frequentare, come primo passo formativo, le lezioni “d’avanguardia”, nel Friuli degli anni Settanta, Dino Basaldella. Il passaggio del suo stile d’intaglio alla qualità plastica della formella di terracotta hanno inasprito un po’ gli andamenti delle superfici del rilievo che proseguono per marcate acciaccature nelle vesti e secchezze espressioniste nel corpo di Gesù, lasciandone intatto l’equilibrio del modello che non vuole colore. La composizione di Milan ha come impresse nella memoria celebri figure della storia dell’arte moderna (cioè da fine Quattrocento in poi) e pare trarre da queste alcune suggestioni che d’altronde sono assorbite dalla parlata esplicitamente “povera” e piana del rilievo, che mi pare si àncori alle scelte di stile scaturite da movimenti di ritorno ai “primitivi” o come Valori Plastici o ancora ai modelli di artisti intagliatori dell’arco alpino orientale. Nella scena di Deposizione il pianto si dipana attraverso i gesti dei dolenti e diventa, grazie alla naturalezza della composizione, emozione corale. Ci accosta, tramite questi suoi toni narrativi e sommessi, agli ultimi, possibili gesti dei vivi verso chi non c’è più, ci invita a raccoglierci attorno a quel sepolcro, a prenderci cura di quel corpo martoriato, a sublimare le lacrime in unguento profumato, a compensare la freddezza del sepolcro con le ultime carezze, a sfidare il buio della tomba con il biancore del sudario di lino.

La gente di Stella ha voluto suggellare con la risoluzione salvifica donataci dal Padre Nostro tramite la resurrezione del proprio Figlio. Evento senza il quale tutta quest’ascesa, questo percorso interiore, avrebbe i connotati di un agire quasi masochistico. Il terremoto, nelle frazioni di Stella, ha significato la distruzione delle case, degli equilibri geologici e sociali. Da questa esperienza Stella ha tratto, tuttavia, come il Friuli intero, ragioni di autoconsapevolezza; l’esercizio di tenace speranza; ha esperito la nascita ed espansione nei cuori di onde di viva gratitudine e solidarietà con chi accorse per aiutare la ricostruzione.

15a stazione – Engelbert Demetz
La Risurrezione di Gesù

L’intervento di Engelbert Demetz è pertanto parte della storia di Stella. Il suo pannello in legno intagliato si erge come un’ancona sul luogo ove v’era un tempo l’altare della vecchia chiesa. É un segno per la propria piccola storia che non vuole essere dimenticata. Lo stile di Demetz è noto da decenni di esercizio dell’arte dell’intaglio, appreso nella nativa Val Gardena. La sua dedizione a temi di arte sacra lo hanno reso capace di esprimersi con sapienza compositiva, ma anche con un corredo figurale essenziale e semplice. Cristo liberato dalle catene della carne, vestito con una lunga tunica, alza le braccia al Cielo ed è sollevato anche da tre angioli. Essi cooperano a spingerlo nella vertigine dell’assoluto, che già sfolgora nell’aureola dorata e nelle fasce raggiate che si allargano tutt’intorno. É questa un’iconografia molto personale del Risorto, che gli artisti di tutti i tempi raffigurarono invece quasi sempre nudo, cinto soltanto di un panno, additante al cielo, spesso portatore del vessillo simboleggiante la vittoria sulla morte.  Nell’opera di Demetz, Gesù si è liberato da simboli, da pose forse troppo dimostrative e dal gusto proprio dei secoli dell’arte che imponeva di celebrare il corpo atletico e proporzionato del Signore. Il Gesù di Demetz non si rivolge a noi, perché dopo tanto patire il Suo unico desiderio è quello di ricongiungersi a Dio. Egli, tuttavia, ci indica implicitamente la Via. Ormai puro spirito, con la tunica giocata ai dadi sotto la croce che è divenuta abito di luce, ci dice che lo slancio verso l’unione con il Padre diventa tutto ciò che conta per l’Essenza. Cristo non deve più dimostrare nulla, né additare agli uomini la vera Vita, né proclamarsi vincitore su un’entità, la morte, che non ha nessuna consistenza sui piani spirituali e all’interno della legge dell’Amore.

Di fronte a quest’ancona, possiamo provare anche noi a disciogliere i lacci mentali che imprigionano il sentire in paure inutili. Le nostre anime accorrono al richiamo divino, trascinate dall’amore e dalla Guida sicura. Alziamo le braccia con la spontaneità di chi sente di essere stato salvato, di chi ha rintracciato, seguendo il sentiero di Stella, la strada verso la patria celeste, e di chi ha compreso quanto le nostre anime siano sorelle una all’altra: sostenute dai nostri Custodi, verranno tutte accolte dalle gerarchie angeliche che declinano le qualità dell’Eterno nei linguaggi della gioia, della pace e della pienezza. Laddove tutto è uno.